Il poeta innamorato
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Si desta il poeta e, mentre sbadiglia ancora assonnato e si
stiracchia, guarda dalla finestra e osserva tutta Roma: la città si sta
svegliando e il tempio di Giove Capitolino sul Campidoglio svetta con le sue
imponenti colonne corinzie arrivate dalla lontana Grecia. Ora che il sole sorge
il frontone e le sue statue si accendono di luce, così come ha voluto Silla. Ma
lui è a Venere che si sente oltremodo devoto. È lei che ha acceso la passione
per quella donna, rendendolo un uomo felice. Ma si rivolge a tutti i suoi dei
per non perderla:
"Lieto, ed eterno, anima mia,
mi prometti che sarà questo nostro amore.
Dei grandi, fate che prometta veramente
e lo dica sinceramente, col cuore.
Ci sia concesso far durare tutta la vita
questo inviolabile patto d'amore."
Ora con la mente torna alla loro ultima notte di passione. Rivede
l'immagine di lei nella stanza illuminata solo dalla blanda luce di una piccola
fiaccola. Lei sul triclinio, vestita solo di veli, pigramente stacca i chicchi
da un grappolo d'uva e li porta alle labbra carnose. Lo aspetta, lui entra
furtivo, l'abbraccia cingendole la vita e le sussurra:
"Viviamo, mia Lesbia,
e amiamo,
e le chiacchere dei vecchi severi
tutte quante stimiamole un soldo.
I soli possono tramontare e nascere;
noi, quando questa breve luce finirà per sempre,
dobbiamo dormire una sola eterna notte.
Dammi mille baci, poi cento,
poi ancora mille, poi cento,
poi altri mille, quindi di nuovo cento;
poi, quando ce ne saremo dati molte migliaia,
li confonderemo, per non sapere (quanti sono)
o perché nessun malvagio ci possa invidiare,
sapendo che ci siamo dati tanti baci."
All'alba lascia la casa. Mentre attraversa la strada, guarda
dalla finestra della casa accanto: un uomo sta offrendo ai suoi Lari vino e
cibo. Si avvia verso il centro. Adesso una nuova, lunga giornata lo separa da
lei. Tutti nella città parlano di politica, ma a lui non interessa affatto. Per
lui i governatori sono tutti corrotti e li insulta pure, non importa di che
schieramento siano. Cesare poi... buono quello!
"Non mi preoccupo affatto, Cesare, di volerti piacere,
né di sapere se sei bianco o nero."
Per non parlare di quel bell'imbusto saccente, l'avvocatone
maestro di oratoria.
"Marco Tullio, il più eloquente
tra i discendenti di Romolo,
di quanti sono, quanti furono
e quanti saranno in altri tempi,
ti ringrazia moltissimo Catullo,
il peggiore poeta tra tutti,
tanto il peggiore tra tutti i poeti
di quanto tu il migliore avvocato tra tutti."
Adesso Catullo vaga senza meta nel Foro di Cesare, volge lo
sguardo al tempio di Venere, poi si gira ed in una popina intravede un vecchio amico, Fabullo. Anche Fabullo da dentro
lo vede e lo invita a far colazione con lui. I due chiacchierano piacevolmente sorseggiando
vino caldo e gustando focacce con il miele. Fabullo paga la consumazione e dice,
scherzando, all'amico che magari per ricambiare qualche volta potrà invitarlo a
cena. Catullo, in tutta sincerità, confessa di trovarsi economicamente in
cattive acque, ma per la cena insieme ha una soluzione:
"Cenerai bene, mio Fabullo, da me
fra pochi giorni, se gli dei ti assisteranno,
ma con te porta una cena abbondante
e squisita, una ragazza in fiore,
vino, sale e tante risate.
Solo così, ti confesso, vecchio mio,
cenerai bene, perché il tuo Catullo
ha la borsa piena di ragnatele.
Ma in cambio avrai un affetto sincero
e tutto ciò che è bello e raffinato:
ti darò un profumo che Venere e Amore
donarono alla mia donna
Quando l'odorerai, prega che gli dei,
Fabullo, di facciano tutto naso".
Scende la sera e il lungo Tevere si spopola. Le ante di legno
delle finestre delle insule, si chiudono e le voci squillanti ora si sentono
soffuse e lontane. Le acque del fiume diventano nere, solo la luna in cielo
indica che è l'ora tanto attesa. Lei è sola, lo aspetta. Trascorrono una lunga
notte d'amore. Lesbia, baciandolo sulla schiena nuda, gli chiede pigramente,
quasi con distacco, se i baci che gli dà gli bastino. Ma lui di lei non è mai
sazio:
"Mi chiedi, Lesbia, quanti tuoi baci
bastino per saziarmi.
Quanti sono i granelli del deserto della Libia
che giace intorno a Cirene fertile di silfio,
tra l'oracolo torrido di Giove
e il sacro sepolcro di Batto;
o quante stelle, quando la notte tace,
spiano gli amori furtivi degli uomini:
questo è il numero di baci
che vuole l'insaziabile Catullo,
tanti che i curiosi non possano contarli
né una lingua maligna fare i malocchio."
Lesbia questa notte è diversa...fa l'amore, ma sembra altrove:
Catullo possiede il suo corpo, ma non riesce a raggiungere la sua anima e il
suo cuore. Lo avverte, ma preferisce scacciare il pensiero che si è insidiato
nella sula mente. Va così anche nelle notti successive, e quel pensiero è ora
un tarlo che lo lacera. Lesbia sembra respingerlo, evitarlo, spesso dice di
avere mal di testa e di voler stare da sola, lo manda via. Sono passati cinque
anni da quando la frequenta e Catullo si chiede se si sia stancata di lui.
"Dice la mia donna che con nessuno farebbe l'amore,
non mi sostituirebbe neppure con Giove!
Dice. Ma ciò che dice una donna a un amante
Conviene scriverlo nel vento, sull'acqua che scorre!"
Nessuna è stata importante per lui come Lesbia. Dentro il
loro rapporto ha messo tutto se stesso. Se non fosse già stata sposata
l'avrebbe pure condotta con sé in matrimonio. E questo non lo aveva pensato per
nessuna fino a quel momento. Lo ammette, è piuttosto geloso e possessivo e
l'idea di lei con un altro che non sia il marito, che da anni non la soddisfa,
lo fa impazzire. Di lei non riesce a sopportare la scarsa sincerità,
l'ipocrisia, l'indifferenza.
"A
tal punto, Lesbia mia, la mia mente è sconvolta per colpa tua
Si è rovinata da sola a causa della sua fedeltà,
così da non poterti volere bene anche se diventassi la migliore,
né smettere di amarti, qualunque cosa tu faccia."
Passano i giorni e non si incontrano più. Al rimpianto di un
passato insieme ormai perduto per sempre e lontano si accompagna la
consapevolezza che l'unica soluzione, per quanto dolorosa, sia il distacco.
"Povero Catullo, smetti di vaneggiare,
e quello che vedi perduto, consideralo perduto.
Brillarono un tempo per te giorni luminosi,
quando andavi dovunque ti conduceva lei,
amata quanto non sarà amata mai nessuna.
Lì allora si facevano quei tanti giochi d'amore,
che tu volevi e a cui lei non si negava.
Brillarono davvero per te un tempo giorno luminosi.
Ora lei non vuole più. Anche tu non volere, benché incapace di dominarti.
Non correre dietro a chi fugge, e non essere infelice,
ma con cuore risoluto resisti, non cedere.
Addio, fanciulla, ormai Catullo resiste,
non ti verrà a cercare, non pregherà più te che non vuoi;
ma tu ti dorrai se non sarai cercata.
Sciagurata, povera te! Che vita ti aspetta?
Chi verrà da te ora? Chi ti vedrà bella?
Chi amerai ? Di chi dirai di essere?
Chi bacerai? A chi morderai le labbra?
Ma tu , Catullo, resisti, non cedere.
Ma lei lo cerca ancora e Catullo cede. Tradimenti ed effimere
riconciliazioni scandiscono il battito del cuore del poeta. Le delusioni si
sommano alle delusioni, l'affetto viene a poco a poco meno, ma la passione è
incontenibile, il desiderio di lei aumenta in maniera inversamente
proporzionale al diminuire dell'affetto.
"Dicevi
un tempo di conoscere solo Catullo,
Lesbia,
e di non volermi sostituire a Giove.
Ti
amai allora, non tanto come la gente comune un'amica,
ma
come un padre ama i figli e i generi.
Ora
ti conosco: ed anche se brucio più forte, tu sei molto più vile, più
trascurabile.
Mi
chiedi come possa accadere? È che una tale ingiustizia
costringe
l'amante ad amare di più, ma a volere meno bene."
Così cerca consolazione fra le braccia di altre donne. Sesso,
solo sesso, una buona distrazione per dimenticare Lesbia:
"Ti amerò, mia dolce Ipsitilla,
mia delizia, mio tesoro,
ordinamelo e verrò da te nel pomeriggio.
E se me lo ordinerai, aiutami,
non chiudermi i tuoi battenti, non uscire,
ma resta a casa pronta a scopare nove volte di fila.
Se hai voglia dillo subito,
sono già qua sdraiato dopo pranzo, sazio e supino
che sfondo tunica e mantello.
Tutto va bene pur di dimenticare Lesbia. Lesbia... ma nessuna
può essere a lei paragonata per bellezza:
"Per molti Quinzia è bella, per me
bianca, alta, slanciata. Questi pregi li riconosco,
ma non ha nessuna bellezza,
né un pizzico di sale in quel corpo superbo.
Lesbia è bella, bellissima tutta fra tutte
a ognuna ha rubato ogni possibile bellezza."
Catullo la ama ancora. E la odia allo stesso tempo. Egli è
preda e vittima di una scissione irreparabile, e con incredulità e dolore non
gli resta che prenderne atto:
"Odio e amo. Come è possibile?
Non so, ma sento che accade e ne soffro."
Nel suo cuore una sola, amara verità:
"Nessuna donna potrà dire 'sono stata amata'
più di quanto ti ho amato, Lesbia mia.
Nessun legame avrà mai quella fedeltà
che nel mio amore ti ho portato."
Marta Galofaro