Infodem

Ancora meglio: il nuovo infodem.it, più che un blog, intende essere un blog dei blog, nel senso che ogni suo pezzo farà riferimento alla libera e autonoma "espressione individuale" degli amici, colleghi e compagni di strada che li firmeranno, pur tendendo a inserirsi in un mosaico che valga come coerente racconto del mondo della comunicazione e della cultura in Italia caratterizzato appunto da totale autonomia (individuale e collettiva) e da spirito critico.Si riparte, dunque. Il viaggio dell'impegno sociale e della responsabilità intellettuale non è finito. Non finisce mai. Si ricomincia sempre. Si deve ricominciare sempre. Nella consapevolezza che niente è conquistato una volta per tutte. E niente è perduto una volta per tutte. 

                                                                             Beppe Lopez e Giuseppe Marchetti Tricamo  
 

60 POESIE E 30 RITRATTI

Il viaggio...atteso, immaginato, agognato, sognato... sfortunato, rocambolesco, sofferto, vano... In ogni caso esperienza positiva o negativa da aggiungere al colorato puzzle della vita, segno visibile che resta sul volto, invisibile, ma indelebile nell'anima. Alessandro Brandolini e Stefano Cardinali ne Il volto e il viaggio (edizioni Fili d'Aquilone, 2017, pp.102, € 13,00)ci conducono nel loro percorso, fatto di parole e volti incisi sulla carta, in cui sessanta poesie di Brandolini si alternano a trenta ritratti a china di Cardinali, in una ricerca di sé e del mondo che porta ad una crescita interiore, a perdersi per poi ritrovarsi in un gioco che a volte fa male. Spesso una svolta da cui è difficile ripartire o da cui è impossibile fare ritorno. Chi si ferma rischia di restare in gabbia, bloccato, soffocato. Quale la giusta direzione da prendere?

Per individuarla sarà necessario portare lo sguardo oltre l'orizzonte, fermarsi a cercare. Bisognerà riflettere, esplorare, cercare e cercare ancora, anche se la scoperta può essere terrore: nel viaggio alcuni si sono persi o li abbiamo lasciati indietro ad annegare. Così, come Montale, anche Brandolini nella sua poesia che spesso si fa prosa, cerca il varco, la fuga, pur conservando strette le proprie radici nel lago della memoria, mentre Cardinali incide sui volti rughe di certezze con un chiaro scuro che lascia il segno tanto sul volto ritratto, quanto nella mente e nell'anima del lettore-osservatore. L'iter urbano creato dalle parole del poeta si fonde e si perde negli sguardi ritratti, non appena li si incrocia in un volto, cercando di scrutarvi dentro, di capire. Brandolini utilizza il verso libero per condurre il lettore verso la fine di ogni viaggio e il destino dell'uomo: la morte. La fine oltre le contraddizioni eterne, non solo geografiche, ma anche culturali, intellettuali a cui la coscienza non può sottrarsi.Per questo il viaggio deve essere prima di tutto percorso interiore, superando l'appartenenza e la solitudine, diventando analisi. Il viaggio dell'uomo finirà, ma non finirà il viaggio degli uomini nel tempo e nel mondo. Bisogna guardare all'esperienza del passato, alla traccia lasciata da chi da quella strada l'ha già percorsa, da chi quel viaggio lo ha già fatto per cambiare il presente. Per dimostrarlo gli autori hanno unito due tracce indelebili dell'essere vivente nel cammino nel tempo: la poesia e l'arte, amore per il mondo e unica speranza.

PINOCCHIO, UNO E DUE

Pinocchio è la più vera fra le tante ricerche di identità nazionale che l'Ottocento ci ha lasciato. A. Asor Rosa ritiene che la fioritura di libri per ragazzi a scopo pedagogico alla fine dell'Ottocento in Italia non sia del tutto scindibile da quella profonda coscienza di un ritardo nazionale da maturare e da colmare. E Pinocchio è la più vera fra le tante ricerche di identità nazionale poiché getta lo sguardo nella realtà popolare che è rappresentazione della cattiva conoscenza subculturale, in una terra, la Toscana, agricola e contadina, dove difficilmente si potevano introdurre le leggi nazionali e borghesi, in cui la miseria, quando è miseria davvero -scrive Collodi- la intendono anche i ragazzi. Solo in prima istanza quindi Pinocchio è un romanzo rivolto all'infanzia poiché la trasformazione del burattino non può essere sociale, piuttosto morale, come morale dovrebbe essere quella degli Italiani ancora "da fare". Ma la prima versione del romanzo non parlava proprio di trasformazione e la favola aveva il più terribile degli epiloghi, la morte del protagonista. Collodi scrisse, in un primo tempo, i capitoli dall' I al XV, mettendo la parola fine con l'impiccagione del protagonista alla grande quercia per mano del gatto e la volpe. Quattro mesi dopo, a seguito delle proteste delle mamme dei piccoli lettori e delle pressioni della redazione de Il giornale della domenica, per cui l'autore scriveva la storia a puntate, diede seguito alla storia, scrivendo altri ventuno capitoli e concludendo il racconto con la trasformazione definitiva del burattino in bravo bambino in carne e ossa.

Emilio Garrone nel 1975 sostenne in Pinocchio uno e bino che Pinocchio possa essere letto come due romanzi in uno: Pinocchio I e Pinocchio II. Il primo è il racconto spontaneo dei capitoli che vanno dal I al XV, il secondo, più elaborato e disteso, occupa i capitoli dal XVI alla fine.

Pinocchio I arriva alla tragica conclusione costruendo la storia intorno a pochi snodi narrativi, le situazioni vengono riprese e manipolate per essere adattate di volta in volta alle esigenze narrative, quasi come in un racconto orale. Pinocchio bino ha i capitoli più lunghi e un ritmo narrativo più lento, con molte sequenze descrittive e narrative. L'intento pedagogico è dominante e prende forma la finalità ultima del processo formativo, l'umanizzazione del burattino. Asor Rosa concorda con questa tesi interpretativa nello stesso tempo, il protagonista è in antitesi burattino e ragazzo e i personaggi realistici e fantastici insieme, a volte quelli tipici delle favole, ma con caratteristiche completamente rovesciate: Mangiafuoco è un orco che si commuove, libera Pinocchio e gli regala addirittura delle monete.

Il capitolo XV di Pinocchio I è il capitolo più gotico della storia: una fuga da tutto, anche dalla morte che non lascerà scampo a Pinocchio. Pinocchio vorrebbe difendersi dai suoi aguzzini, vorrebbe salvare i talenti che gli ha dato Mangiafuoco, ma non riuscirà a sottrarsi al suo destino di morte, perché i ragazzi che si ribellano dovranno pentirsene.

L'episodio conclusivo sembra una parafrasi religiosa della morte di Cristo. L' impiccagione riporta alla crocifissione con diverse analogie. La corrispondenza tra "Impicchiamolo! impicchiamolo!" del racconto di Collodi, e il "crocifiggilo! crocifiggilo!" dei Vangeli è evidente. In questa antifavola in cui tutto è al rovescio anche l'atmosfera della morte del burattino ricorda quella del supplizio divino. "Intanto s'era levato un vento impetuoso di tramontana, che soffiando e mugghiando con rabbia, sbatacchiava in qua e in là il povero impiccato [...] allora gli tornò in mente il suo povero babbo... e balbettò quasi moribondo:

- Oh babbo mio! se tu fossi qui!... ―

E non ebbe fiato per dir altro. Chiuse gli occhi, aprì la bocca, stirò le gambe, e dato un grande scrollone, rimase lì come intirizzito.

Pinocchio appare allo stesso tempo Cristo e Giuda, vittima e carnefice. Riesce a "vendere" la sua storia commuovente a Mangiafuoco, ma poi "si pente" di non aver ascoltato i saggi consigli e, mentre muore invocando il padre, il suo ultimo sgambetto ricorda ed avoca l'ultimo respiro divino. Cristo ha preso su di sé i mali del mondo per la salvezza degli uomini, Pinocchio è simile agli esseri umani e in lui coesistono il bene e il male. L'assassinio, il suicidio sono l'effetto della menzogna che regna nel mondo e il burattino è destinato a morire per purificarsi, per cambiare il suo essere, imitando Cristo in quella sofferenza che lo porterà al cambiamento. L'esperienza dolorosa è infatti necessaria per la crescita e il cambiamento: qualcosa muore per trasformarsi in qualcos'altro. Ognuno affronta per crescere lo stesso percorso del burattino, incontrando persone positive che possono aiutare e personaggi privi di scrupoli. Per questo Pinocchio è ogni uomo che, attraverso le sue peripezie, ha sperimentato la tentazione e la scoperta del male e la morte che porta alla vita nuova.

                  Marta Galofaro

SIAMO PRONTI AD ESSERE FUORICLASSE DELLA NOSTRA VITA?

Paolo Crepet, oltre ad essere un noto volto della televisione, è prima di tutto psichiatra, sociologo e scrittore prolifico ed appassionato che ci fornisce, attraverso i suoi testi, un'attenta analisi della nostra società e attualità. Il professor Crepet è cresciuto in una famiglia di artisti: il suo nonno paterno, Angelo è un pittore (amico tra l'altro di Amedeo Modigliani), mentre il nonno materno è un ceramista. Quest'esperienza ha influenzato la sua concezione della vita, del bello e della felicità: "La mia famiglia mi ha insegnato il valore della creatività, dell'immaginazione, del bello. Tutto parte dalla ricerca della felicità e per questo credo che la psichiatria sia l'arte di rimuovere gli ostacoli alla felicità. Sono convinto che la psichiatria abbia più a vedere con l'arte che con altro."

E sono convinta, dopo averlo letto, che il suo ultimo lavoro, Passione, possa essere una guida verso la felicità, perché per essere felici bisogna assecondare le proprie passioni. Per vivere in maniera intensa, per vivere veramente godendo a pieno di ogni singolo istante è necessaria la passione. L'etimologia del termine passione è riconducibile al greco πάθος, termine che pur racchiudendo il senso della sofferenza, indica una forte emozione. Per tale motivo, passione indica sia un momento di profonda sofferenza, ma nel suo senso più comune indica un desiderio, un trasporto dell'animo che il pensiero ha sempre contrapposto al λόγος, alla ragione come le due forze polarizzanti dell'uomo.

Paolo e Francesca, Alex Zanardi, Reinhold Messner, Angelo D'Arrigo, Leonardo Da Vinci, Walt Disney, Maria Teresa, Martin Luther King, Gandhi, Mandela, Steve Jobs, Bill Gates, Giulietta e Romeo, l'artista che ogni giorno si alza e non può fare a meno di creare, lo scrittore che non può stare lontano dalla penna, l'amante che si rigira nel letto senza riuscire a prendere sonno perché vorrebbe condividere il talamo con l'amata, non sono che alcuni esempi di uomini e donne che hanno scelto di vivere secondo passione in una sfida con sé stessi e col mondo per vivere appieno e godere.

Il professor Crepet, nel suo ultimo libro, descrive la passione come minimo comune esistenziale e godere, verbo forse troppe volte censurato, ma che deve o dovrebbe essere invece uno dei principali obiettivi dell'educazione. Oggi le passioni spesso si censurano, gli adulti preferiscono crescere giovani addomesticati, indifferenti, pieni di paure per esorcizzare la paura... e la responsabilità è in parte degli adulti che tendono a proteggere i propri figli al punto da impedire loro di spiccare il volo ma anche dei ragazzi che devono prendersi le proprie responsabilità per superare quella selezione darwiniana che c'è sempre stata. Quindi la lentezza tipica di parte delle nuove generazioni è un mix di educazione e tecnologie digitali: il risultato è che ragazzi e ragazze tendono ad aspettare che il problema sia risolto da altri piuttosto che provare ad affrontarlo da soli con le proprie forze e il proprio ingegno. Inoltre il professor Crepet sottolinea come i giovani facciano fatica ad avere qualità nelle relazioni e preferiscano accontentarsi. Quindi, convinto che gli esempi valgono più delle parole, ha scelto di incontrare per loro dei maestri: tre testimonianze di, come li definisce, campioni della passione: il jazzista Paolo Fresu, Alessandro Michele, direttore creativo di una nota casa di moda, e il più celebre architetto contemporaneo, Renzo Piano. Personaggi di età diverse, che hanno fatto cose diverse ma che possono essere un ottimo esempio per i giovani.

Per il professore anche la politica è cambiata. Ormai solo per pochi è ancora il sogno di contribuire a costruire un mondo migliore, per la maggior parte è arrivismo, tornaconto personale. Leggendo Passione mi è tornata in mente la canzone di uno straordinario e intramontabile Giorgio Gaber, in cui l'artista si chiede cosa sia la destra o la sinistra per poi arrivare alla conclusione che l'ideologia è passione. Ma, come giustamente scrive il professore Crepet, la passione, necessaria a cambiare il mondo, è esercizio faticoso per chi non è abituato a mettere impegno in ciò che fa e preferisce scommettere sull'individualismo, sulla paura della diversità, persino su un tweet o un selfie, ammalando la passione per la politica.

È stato interessante leggere Passione da insegnante, da madre e da donna che vive questa attualità, spiegata in modo diretto attraverso esempi concreti e con una scrittura semplice e scorrevole in cui è come se l'autore dialogasse amichevolmente con il suo lettore inducendolo con le sue riflessioni a riflettere. Mi piace concludere riportando una frase molto significativa del professore: "Dovresti imparare che la vita, come l'amore, è l'unico business il cui bilancio deve finire in rosso: bisogna dare tutto senza calcolare ciò che ci viene riversato. Quello che diamo agli altri è nostro per sempre, mentre quello che si tiene per sé è perso per sempre."

E noi siamo pronti ad essere fuoriclasse della nostra vita?

Marta Galofaro

Forse è la nave di Ulisse

"Così io mi figuro il poeta dell'Odissea. Sopra un legno di mercanti e, chi sa, di pirati, di costa in costa, d'isola in isola, percorre tutto il Mediterraneo, che sembra veramente infinito. Disteso a prora, dal primo all'ultimo raggio di sole, mentre le vele gonfie rapiscono a volo il battello, a pari dei gabbiani, contempla, con le avide pupille del poeta, le infinite parvenze del cielo e del mare." (I signori del mare, Orazio Ferrara, Sarno, Centro Studi I Dioscuri 1998). I resti di Troia e Micene, la pittura vascolare hanno confermato la veridicità del mondo cantato dal mitico aedo di nome Omero, la cui esistenza, ammesso che sia vera, è ancora avvolta nel mistero.

Oggi un'importante scoperta del team di esperti guidato da Joe Adams, che porta avanti un'interessante programma di ricerca sottomarino, Black Sea Maritime Archaeology Project, avvalorerebbe la fondatezza dei versi del cantore greco. Adagiata sui fondali del Mar Nero, insieme ad altri interessanti reperti archeologi, giace a 2000 metri sotto il livello del mare, una nave conservata quasi nella sua interezza grazie alla mancanza di ossigeno. Adams ha dichiarato "Una nave sopravvissuta intatta dall'epoca classica, a due chilometri di profondità, è qualcosa che non avrei mai creduto possibile trovare. [...] Si tratta di una scoperta che cambierà le nostre conoscenze e la nostra comprensione delle attività della marineria del mondo antico". Il test del carbonio 14 ha confermato che si tratta di un reperto risalente a 2400/2500 anni fa. L'imbarcazione sarebbe molto somigliante alla raffigurazione del The Siren Vase, un vaso risalente al 480/470 a.C., attualmente esposto al British Museumdi Londra, ritenuta da sempre rappresentante la nave di Ulisse al momento dell'incontro con le Sirene narrato da Omero nell'Odissea. E per questo gli archeologi hanno denominato lo scafo "la nave di Ulisse". Al momento, riportare la nave in superficie risulta parecchio complicato perché questa operazione potrebbe anche distruggerla.

Omero, o chi per lui, definisce le navi con due epiteti che ne lasciano immaginare facilmente la forma: orthokrairos (dalle corna erette, il toro era un simbolo che si usava anche per esorcizzare i pericoli del mare) e kòilos (concava). In Omero la differenza tra nave mercantile e da guerra non è rigida. La prima ha soprattutto una propulsione velica e ricorrerebbe all'uso del rematori solo in mancanza di vento o nelle manovre di porto, la seconda usufruisce di una vela quadra, ma la velocità è affidata alla forza dei rematori. In entrambe due grossi remi poppieri costituiscono il timone di difficile manovrabilità. Nell'Iliade e nell'Odissea le navi guerriere sono a venti rematori più il timoniere e il capitano. Sono estremamente versatili e veloci, caratteristiche utili sia per i combattimenti sia per le fughe dopo le razzie. Agamennone usa una nave a venti remi per rimandare Criseide dal padre, Telemaco per la ricerca di suo padre da Itaca a Pilo, ma questa è la medesima imbarcazione che scelgono i proci per tendergli un attacco. Ma nel catalogo delle navi lo stesso Omero descrive navi con cinquanta remi, venticinque per lato, antenata della trireme. E proprio una nave a cinquanta remi verrà data ad Odisseo dai Feaci per far ritorno ad Itaca.

Mai come oggi il mitico mondo di Odisseo che tanto ci ha affascinato ed incantato appare tanto reale e vicino.

Circe, non molto poi, da me rivolse
per l'isola i suoi passi; ed io, trovata
la nave, a entrarvi, e a disnodar la fune, 
confortava i compagni; ed i compagni
v'entraro, e s'assidean su i banchi, e assisi
fean co' remi nel mar spume d'argento.

La Dea possente ci spedì un amico
vento di vela gonfiator, che fido
per l'ondoso cammin ne accompagnava:
sì che, deposti nella nera nave
dalla prora cerulea i lunghi remi,
sedevamo, di spingerci, e guidarci
Lasciando al timonier la cura, e al vento.

Marta Galofaro

                   BRETELLINE ROSSO SANGUE. IL CASO FUSCHI

                                        https://www.infodem.it/iniziative.asp?id=5142

Autorizzato dal podestà-sindaco, Paolo Lucifora,ʹntisu Paulu l'uorvu, banditore vittoriese cieco dalla nascita grida per le strade: "Si persi ʹn picciriddu ʹi quattr'anni e a matri ʹu va circannu. Cu n'avi notizzi,parrassi ccu don Pidrinu Fuschi, ra pasticceria Tri Marie (si è perso un bambino di quattro anni e la madre lo cerca. Chiunque avesse notizie, può rivolgersi al signor Pietro Fuschi, della pasticceria Tre Marie)". Paulu, provato come tutta la cittadinanza dalla notizia, non accetta il compenso che il padre di Alfredino, Pietro Fuschi, vuole dargli perché spera solo che ritrovino sano e salvo il bambino di solo quattro anni, rapito a Vittoria nel maggio del 1946 davanti al bar dei suoi genitori. Non sa ancora Paolo, come non lo sanno Pietro e la sua famiglia, che il piccolo è stato ucciso.L'atroce premeditato delitto si è consumato la sera stessa del rapimento perché il bambino conosceva uno dei suoi rapitori. Salvatore Genovese racconta questa storia, nota alla cronaca come "il caso Fuschi", nel suo romanzo d'esordio, Bretelline rosso sangue, in cui magistralmente fonde cronaca e invenzione, senza mai eccedere. Il romanzo si può inquadrare nel genere del giornalismo narrativo, in cui i fatti vengono raccontati unendo alla precisione della cronaca l'arte della narrazione e del talento espressivo.Piccola cittadina della provincia di Ragusa, Vittoria, cerca, come il resto d'Italia, di riprendersi dalla devastazione che la guerra ha lasciato nei paesi. Soprattutto negli animi se ne portano gli incancellabili segni. Vive nell'inconsapevole attesa di essere chiamata da lì a qualche mese, a scegliere quale sarà la forma di governo del nuovo Stato, mentre tra sofferenze, povertà e incertezze trovano terreno fertile banditismo, delinquenza comune e onorata società.In questo clima tre improvvisati banditi, Giovanni Solarino, Salvatore Affè e Giovanni Cilia discutono ancora una volta su una panchina dei giardini comunali, su come portare a compimento il piano tante volte meditato per guadagnare una somma di denaro non esagerata per l'epoca ma che avrebbe potuto concedere loro di passarsi qualche sfizio. Cilia ascolta in silenzio. Affè lavorava al Tre Marie ed è così che lo descrive ai suoi Cilia e Solarino: "Viriti ca 'u cafè 'i Fuschi è 'n puzzu senza funnu" , inoltre conosce Alfredino, lo avrebbe prelevato col pretesto di un giro in bici, come tante altre volte. Ma quella sera non lo avrebbe riportato a casa. Dice ai complici: "Mi canusci. Nun lu putiemmu lassari vivu". È Solarino a risolverli il problema: "Ci pienzu iu"...Genovese, giornalista di mestiere, servendosi della nutrita documentazione che nel tempo si è accumulata costituendo una fonte storica, riporta, fedele cronista, le lettere dei rapitori con l'italiano sgrammaticato e incerto, i verbali delle forze dell'ordine, i documenti con cui la famiglia e la comunità vittoriese chiedono che la fucilazione degli assassini avvenga in pubblica piazza, sul luogo in cui è stato martoriato Alfredino. Abilmente Genovese, con la sua prosa asciutta, lineare e incisiva, alterna e svela i punti di vista dei carnefici, dei componenti della famiglia della vittima, degli investigatori e degli agenti di polizia (che dopo la caduta del fascismo si stanno riorganizzando). Degli uomini misteriosi della mafia che si preoccupano di assicurare ad un padre disperato che non sono loro gli artefici del rapimento, perché hanno valori, loro, e non toccherebbero mai un bambino, di cercare quindi dalle parti del paese i suoi rapitori.Bretelline rosso sangue è un romanzo-reportage o romanzo-verità che non lascia indifferenti, sia per la crudeltà della storia, che ha come vittima un innocente di soli quattro anni, sia per la capacità del narratore di incuriosire, nonostante si conosca l'epilogo sin dall'inizio, sia per la sua bravura di districarsi nella narrazione senza tralasciare nessun particolare o punto di vista. Riesce a soffermare il lettore nel corso del racconto a riflettere e ad esprimere il proprio punto di vista, soprattutto alla fine di tutta la vicenda, quando gli assassini ottengono la grazia dal Presidente Enrico De Nicola.I genitori per più di un anno vivono nella speranza di poter riabbracciare Alfredo, cedendo ai vari ricatti, consegnando puntualmente le somme di denaro richieste nella speranza fossero le ultime, sussultando nel leggere quelle lettere terribili in cui veniva loro comunicato che il bambino era vivo, stava bene e chiedeva di loro, ignari che il loro piccolo giaceva morto semi sepolto sotto un mucchio di pietre nella grotta buia dove si è consumato il terribile delitto. Lo scrittore interpreta con correttezza e senza cedere all'enfasi i sentimenti di una famiglia distrutta che per un anno ha sperato, ma anche i pensieri dei rapitori. "Perché ammazzarlo e in quel modo?". Di tal genere, se non tali appunto, scriverebbe Manzoni, erano i pensieri di Cilia, l'unico a pentirsi subito dell'orrido misfatto.

CAMILLERI: STORIE, RICETTE

https://www.infodem.it/teatrino.asp?idn=1399

Gocce di Sicilia di Camilleri è una raccolta di sette storie, edita da Mondadori. Il titolo spiega il contenuto: si tratta di gocce di cultura e di tradizione siciliana, poche ma dal sapore intenso come le gocce distillate.

Il racconto Lo Zù cola è ispirato al reale incontro che Camilleri ebbe con il capo mafioso dell'Agrigentino Nick Gentile. Protagonista della storia è lo "Zio Cola" che, nel corso della vicenda, incontra personaggi minori creati ad hoc con cui interagisce per costruire quello che l'autore definisce un falso monologo. In questa storia è riportata una ricetta durante la descrizione dell'omicidio, avvenuto in un ristorante di Fred Iacolino, freddato mentre mangiava "un quarto d'agniddruzzo al finocchietto selvaggio".

Il racconto Chi è che trasì nello studio è un'affettuosa e nostalgica rievocazione dello zio dell'autore, Alfredo. In due punti si parla di cibo. Si puntualizza quanto fosse importante ai fini di trovare marito l'arte culinaria per una donna, al pari del canto, della conversazione, del ballo e del suonare il piano. Tutto ciò faceva parte del "culto di San Filano", rito vietato agli uomini e che veniva praticato dalle ragazze che non avevano ancora un fidanzato e di cui Zio Alfredo era l'unico sacerdote: "assaggiava, gustava, giudicava unico uomo fra tutte quelle femmine" ciò che le giovani offrivano al santo. Nell'altro si racconta che lo zio durante le sue nuotate si tuffava sott'acqua per riempire il cappello di vongole e ricci di mare per mangiarli "freschi freschi", seduto accanto alla moglie. Piace il vino a San Calò è dedicata al "culto" del vino che a tavola non deve mancare perché mette buon sangue. L'autore descrive in maniera ironica la festa, religiosa e pagana, di San Calogero. S. E. Rev.ma Mons. Luigi Rufino deve fare i conti con i paesani scaricatori di porto che portano per il paese la statua del santo in maniera molto poco ortodossa. Quando i portatori si fermavano davanti a qualche uscio di devoti veniva offerto loro vino a volontà, gratis, e un bicchiere spettava di diritto al santo. San Calogero, commenta Camilleri, alle cinque di dopo pranzo sembrava ubriaco. Il Monsignore, sconvolto, propone allora "le regole" per la festa dell'anno successivo: nessuno doveva offrire da bere al santo, pena la scomunica del paese, il pane per i poveri non doveva più essere buttato dal balcone e la statua non doveva stare alla Casa dei Lavoratori portuali, ma in chiesa. Si arrivò ad un compromesso: ci sarebbero state due feste, quella tradizionale in cui il santo veniva declassato a comune mortale e, in quanto uomo, poteva anche farsi tirare il pane, andare per taverne o risiedere nella casa del lavoratore e la processione religiosa che sarebbe avvenuta la sera. Ben presto la voce popolare disse che di questa processione San Calogero si stufava e qualcuno giurò perfino di averlo visto sbadigliare! Ne Il primo voto l'autore racconta la paradossale guerra tra separatisti, comunisti e democristiani durante le prime elezioni regionali in Sicilia, nel 1947. I personaggi sono delle macchiette ancorate alle ideologie politiche che rappresentano e il prete del posto, Padre Aurelio, è in seria difficoltà quando ciascun rappresentante delle fazioni opposte al partito comunista gli propone di sostituire "la bandiera" del Cristo risorto, con quella del proprio partito. Combattuto il prete decide di eliminare qualsiasi bandiera dalle mani del Cristo, ma si accorge di aver fatto comunque un errore: senza bandiera il cristo appariva risorgere facendo il tipico saluto comunista. Infatti, conclude lo scrittore, il "fronte del popolo" stravinse le elezioni. In questa storia si racconta dei ceci e delle fave, per tradizione considerati la carne deipoveri, "abbrustoliti in loco" cioè nei magazzini in cui erano ammassate. E della granita di caffè, l'alimento con il quale in Sicilia si usa fare colazione, in genere accompagnandola con un panino a forma di treccia o una brioches. Al personaggio della storia, invece, piace accompagnarla con i taralli, biscotti morbidi al limone rivestiti con glassa di zucchero. Come dimenticare l'importanza del cibo per Montalbano? Il sicilianissimo commissario che svolge indagini nell'immaginaria Vigata ha la propensione per la buona cucina soprattutto a base di pesce, da consumare, per poterne godere a pieno, rigorosamente in religioso silenzio. Per lui la cucina è qualcosa di maniacale, quasi liturgico. Ama imbandire la terrazza della sua casa di Marinella e accompagnare la cena con del buon vino. Gli è molto gradita la cucina di Adelina, la sua domestica, che gli prepara squisiti piatti tipici della cucina siciliana: le alici con cipolle e aceto, la pasta con le sarde, la pasta ʹncasciata, la caponata di melanzane e gli arancini al ragù. Anche lui si cimenta nella cucina, il polpo al sugo e la pasta con i frutti di mare sono i suoi assi nella manica. Si reca sempre allo stesso ristorante, da Calogero, da cui gli piace farsi consigliare il menu.  

Agnello al finocchietto selvatico

INGREDIENTI PER4PERSONE

1 cosciottino d'agnello, 1 cipolla abbastanza grossa,olive verdi,1 mazzetto di finocchietto selvatico,olio,brodo di carne,1 bicchiere di vino bianco secco,peperoncino,sale

PREPARAZIONE

Pulire e tagliare il cosciotto a pezzi grossi. Preparare un fondo d'olio e peperoncino e rosolarci la carne. Poi unire le olive a pezzetti e il finocchietto sminuzzato. Sfumare con vino bianco secco, poi aggiungere il brodo. Portare a cottura aggiungendo brodo di tanto in tanto. Cuocere per un'ora abbondante per far diventare la carne bella morbida, alla fine aggiustare di sale e servire ben caldo.

GRANITA AL CAFFE'

INGREDIENTI:

Acqua 300 ml, Caffè espresso 300 ml Zucchero 150 gr

PREPARAZIONE:

Versate l'acqua in un pentolino, unite lo zucchero, mescolate e mettete sul fuoco. Portate ad ebollizione e fate bollire qualche minuto. Togliete dal fuoco ed unite il caffè. Fate raffreddare il composto per la granita, poi trasferitelo nella gelatiera e seguite le istruzioni per l'uso. Se non possedete la gelatiera, versate il preparato per la granita al caffè in un contenitore d'acciaio e mettetelo in freezer. Ogni 30' circa mescolate bene la granita con una forchetta, rompendo bene il ghiaccio che si sarà formato. Ripetete questa operazione finché la granita sarà pronta. In Sicilia si usa servire la granita al caffè ricoperta di panna montata.


TARALLI

INGREDIENTI:

500 g di farina 00, 150 g di zucchero semolato,100 g di strutto, due uova, due limoni biologici, 20 g di ammoniaca per dolci, latte q.b.

Per la glassa a caldo: 1 kg di zucchero semolato, 250 ml di acqua

Per la glassa a freddo: 250 g di zucchero a velo, due cucchiai di latte, 4 cucchiai di succo di limone.

PREPARAZIONE:

Setacciate la farina sul tavolo e impastatela con lo strutto. Formate al centro un incavo e versate le uova leggermente sbattute, lo zucchero, l'ammoniaca, due cucchiai di succo di limone e la scorza grattugiata di entrambi i limoni. Impastate e versate poco latte alla volta, fino ad ottenere un impasto abbastanza morbido. Pulite il tavolo e cospargetelo di farina, prelevate un pò di impasto e formate dei bastoncini lunghi 5-6 cm, adagiateli su una teglia rivestita di carta forno e infornate a 190° 200° per 25-30 minuti. Tirate fuori i biscotti e lasciarli raffreddare. Intanto cominciate a preparare la glassa, Mettete in una pentola l'acqua con lo zucchero e lasciate bollire fino che lo zucchero diventa prima liquido, poi denso,tenerlo ancora un altro pò sul fuoco. Versate lo sciroppo di zucchero a poco a poco in una ciotola, mescolate e quando diventa biancastro tuffateci dentro i biscotti, rigirateli, da tutte le parti e metteteli a raffreddare su una griglia da forno. Continuate così fino a glassare tutti i biscotti ma fate attenzione a non far raffreddare troppo lo zucchero altrimenti si indurisce e non si attacca sui biscotti. Se optate per la glassa a freddo procedete così: stemperate lo zucchero con latte e succo di limone e sbattete il composto con una frusta finché la crema diventa liscia. Spennellate i biscotti ancora tiepidi e lasciate asciugare in forno a 150° per 5 minuti.

"È superfluo dirti che il principe di Salina è il principe di Lampedusa, Giulio Fabrizio mio bisnonno; ogni cosa è reale [...] Padre Pirrone è anche lui autentico, anche nel nome.[...] Donnafugata come paese è Palma; come palazzo è Santa Margherita."Queste le parole di Giuseppe Tomasi di Lampedusa in una lettera, con allegato il dattiloscritto de...

© 2017 Marta Galofaro. Tutti i diritti riservati.
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