GATTOPARDO, 60 ANNI DOPO

12.10.2018


"È superfluo dirti che il principe di Salina è il principe di Lampedusa, Giulio Fabrizio mio bisnonno; ogni cosa è reale [...] Padre Pirrone è anche lui autentico, anche nel nome.[...] Donnafugata come paese è Palma; come palazzo è Santa Margherita."Queste le parole di Giuseppe Tomasi di Lampedusa in una lettera, con allegato il dattiloscritto de Il Gattopardo, del 30 maggio 1957 al barone Enrico Merlo di Tagliavia. E a Palermo, sua città natale, e ai possedimenti che furono della sua famiglia è legata la storia dello scrittore e del romanzo che, purtroppo solo dopo la morte, lo rese famoso. In Ricordi di infanzia scrive di palazzo Lampedusa, la casa in cui nacque:"La amavo con abbandono assoluto. E la amo adesso quando essa da dodici anni non è più che un ricordo. Fino a pochi mesi prima della sua distruzione dormivo nella stanza nella quale ero nato, a quattro metri di distanza da dove era stato posto il letto di mia madre durante il travaglio del parto. In quella casa, in quella stessa stanza forse, ero lieto di essere sicuro di morire"Si trova al numero 17 di via Lampedusa, di fronte palazzo Branciforte. Durante la seconda guerra mondiale, venne colpita e resa inagibile tanto che lo scrittore dovette trasferirsi in una casa a Ficarra fino all'armistizio. Nel Gattopardo lo scrittore ne rievoca gli antichi fasti. A Palermo ogni mattina si recava al Bar Pasticceria Mazzara, dove sedeva a scrivere sempre allo stesso tavolo. Francesco Orlando in Ricordo di Lampedusa (1962) racconta che spesso si recava anche a casa del critico musicale e giornalista del Giornale di Sicilia Bebbuzzo Sgadari di Lo Monaco dove conobbe molti intellettuali palermitani.Edificato nel XVI sec. dai Branciforte, palazzo Lanza Tomasi si trova nel quartiere Kalsa e conserva la biblioteca dello scrittore. Era stato acquistato dal nonno dello scrittore, il principe Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa con l'indennizzo ottenuto dalla Corona per l'esproprio dell'isola di Lampedusa. Lo scrittore, dopo averlo riacquistato nel 1951, vi vivrà fino alla morte, ma non lo considererà mai la sua vera casa, come spiega in Ricordi d'infanzia."Tutte le altre case (poche del resto, a parte gli alberghi) sono state dei tetti che hanno servito a ripararmi dalla pioggia e dal sole, ma non delle casa nel senso arcaico e venerabile della parola. Ed in ispecie quella che ho adesso, che non mi piace affatto, che ho comperato per far piacere a mia Moglie e che sono stato lieto di far intestare a lei, perché veramente essa non è la mia casa. "Lo scrittore visitò nell'estate e nell'autunno 1955 il feudo di Montechiaro, proprietà della famiglia, ritrovando le sue origini. Il luogo divenne la residenza estiva dei Salina, la Donnafugata del Gattopardo. Il monastero di clausura inglobò il primo palazzo ducale. Qui si ritirarono in convento le figlie e la moglie di Giulio Tomasi di Lampedusa, tra cui Isabella, nota con il nome di Suor Maria Crocefissa della Concezione, a cui fa riferimento lo scrittore quando parla della Beata Corbèra e dell' episodio della lettera del diavolo, una missiva scritta in caratteri incomprensibili conservata all'interno del convento. I mandorlati, i pasticcini menzionati nelle pagine del Gattopardo, sono ancora preparati e confezionati nel monastero."Abitudini secolari esigevano che il giorno seguente all'arrivo la famiglia Salina andasse al Monastero di Santo Spirito a pregare sulla tomba della beata Corbèra, antenata del principe, che aveva fondato il convento [...]. In quel luogo tutto gli piaceva, cominciando dall'umiltà del parlatorio rozzo, con la sua volta a botte centrata dal Gattopardo, con le duplici grate per le conversazioni, con la piccola ruota di legno per fare entrare e uscire i messaggi, con la porta ben squadrata che il Re e lui, soli maschi nel mondo, potevano lecitamente varcare.[...] si stupiva sempre vedendo incorniciate sulla parete di una cella le due lettere famose e indecifrabili, quella che la Beata Corbèra aveva scritto al diavolo per convertirlo al bene e la risposta che esprimeva, pare, per il rammarico di non poter obbedirle; gli piacevano i mandorlati che le monache confezionavano su ricette centenarie, gli piaceva ascoltare l'Uffizio nel coro, ed era financo contento di versare a quella comunità una parte non trascurabile del proprio reddito, così come voleva l'atto di fondazione."A Villa Piccolo lo scrittore si recava a trovare i cugini, era molto affezionato a Lucio, con il quale condivideva molti interessi tra cui quello per la letteratura. Con lui a San Pellegrino Terme, nel 1954, nacque la scintilla che lo portò a scrivere il romanzo covato da anni. E a lui spesso faceva ascoltare, chiedendone i consigli, le pagine appena scritte de Il Gattopardo."In questa villa del resto ritrovo non soltanto la Sacra Famiglia della mia infanzia, ma una traccia, affievolita, certo, ma indubitabile, della mia fanciullezza a Santa Margherita e perciò mi piace tanto andarvi". 

© 2017 Marta Galofaro. Tutti i diritti riservati.
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