Amelia Colanton Gli inabissati 

13.02.2018

Ne "Gli inabissati" di Amelia Colanton c'è il crudele e spietato Verismo verghiano nella descrizione di un popolo che ha scelto di essere sconfitto, vittima impassibile dei giochi di potere e complice dell'immobilismo che da sempre lo caratterizza, ma che quando decide di reagire lo fa nel peggiore dei modi, travolgendo tutto e tutti, persino se stesso, come il più terribile degli tsunami. C'è il teatro delle maschere di Pirandello che costringe ogni personaggio a recitare la parte che gli è stata assegnata mentre viene inevitabilmente investito dalla marea degli Inabissati e dal Fato a cui, ahimè, persino gli dei devono sottostare.
C'è la vita, forse vera protagonista, quella reale, quella vissuta, passiva spettatrice dello scorrere di un tempo che inesorabile lascia attoniti spettatori di cambiamenti sempre più rari e, nella maggior parte dei casi, peggiorativi e a cui anche la Provvidenza deve prima o poi arrendersi.
Ci sono le preoccupazioni di una madre, Provvidenza anche lei, che si preoccupa per il destino dei propri figli, voce corale di una madre-Patria che assiste al tramonto del suo popolo, incapace di reagire ai giochi di potere di chi vuole arrivare ai posti prestigiosi di palazzo, senza nessun interesse e impegno per la qualità del lavoro che svolge. Così tutti gli esclusi, delusi, affamati cercano la propria rivalsa, il proprio riscatto agli occhi della società, cercano di riappropriarsi del loro posto in quel mondo che li ignora e li calpesta. Pretendono ciò che sarebbe dovuto ma viene loro negato ogni giorno. Lo fanno con la violenza cieca e inaudita di un popolo stanco che prende la forma di cieca folla. 

Ma gli dei non assistono impotenti. Tutto questo deve finire, e con un segnale forte, molto forte, che abbia la potenza della catastrofe, una di quelle che, almeno per un attimo, fanno fermare il mondo a riflettere sulla caducità della vita, sul proprio destino e soprattutto sull'impotenza dell'uomo che si inabissa di fronte all'urlo della Natura, passivo spettatore della propria esistenza. Solo chi, caparbio, lotta ogni giorno forse si può salvare, solo chi va avanti ad oltranza, incurante del mondo che lo circonda e quasi insensibile alle sue catastrofi; solo chi, davanti a tanta devastazione, è disposto a rimettersi in gioco, a ricominciare per l'ennesima volta. Antonia, la protagonista, tesse, abile Aracne, le file delle storie che si intrecciano e sovrappongono, facendo da filo conduttore alla storia.

Lo stile sobrio, ma accurato, rende il periodare scorrevole e la lettura piacevole. Il linguaggio è quello semplice e colloquiale della gente comune che vive a fa vivere queste pagine, colorato di termini dialettali che rendono più vivace la narrazione e a tratti spezzano la drammaticità del racconto. Soprattutto quando messi in bocca alla zia 'Ntonia, icona simbolo per antonomasia di una Sicilia che non c'è più o che forse in fondo è cristallizzata per sempre. La regressione a livello dei suoi personaggi lascia comunque trasparire la competenza e la cultura umanistica dell'autrice. Anche per i potenti dell'Olimpo, altra allegoria del potere, la Colanton ha scelto un linguaggio informale. È lo stesso che usa chi decide della sorte dei disgraziati, mettendo in evidenza solo superficialità e ignoranza. È il linguaggio irriverente di chi non si cura delle sorti dei più deboli e meno fortunati che dovrebbe piuttosto difendere poiché ne ha il potere. 

"Gli inabissati" è un libro forte. Consolo lo classificherebbe fra la sempre più rara letteratura d'impegno che si inabissa sotto il peso di una sempre più comoda letteratura d'intrattenimento. È un testo che lascia l'amaro in bocca e pretende le dovute riflessioni.

Marta Galofaro

Presentazione de "Gli inabissati" di Amelia Colanton - Sala "Pietro Palazzi", Comiso 

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